https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/24_maggio_13/alessia-pifferi-chi-e-la-madre-che-lascio-morire-di-stenti-la-figlia-diana-di-18-mesi-l-attesa-per-la-sentenza-079e0cf0-2ac8-4c76-95dc-5a3b09f84xlk.shtml
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«Una bambina invisibile»
Dice di essere stata «una bambina invisibile», sola, solitaria. Da piccola non giocava con gli altri bambini ma con gli adulti. E da grande si è trovata sola, a crescere una figlia di cui non ha mai voluto dire il padre, una figlia «tanto desiderata», che ora le «manca», ma che le toglieva spazio. Lei che aveva bisogno «di respirare». Alessia Pifferi, 38 anni, è la mamma assassina che ha lasciato morire la figlia Diana di 18 mesi di fame e di sete sola e chiusa in casa. È stata condannata all'ergastolo per il reato più grave del quale si possa essere accusati: aver ucciso la propria figlia. Una bambina lei sì, invece, davvero invisibile. Partorita in un bagno, sconosciuta ai servizi sociali, mai registrata da un pediatra, mai andata all’asilo nido, mai vaccinata.
Un lettino diventato prigione
Lasciata sola nei weekend, mentre la madre andava dal compagno a Leffe in provincia di Bergamo, in un lettino diventato prigione con poca acqua e poco latte. Lo aveva fatto in altre occasioni, prima di martedì 14 luglio 2022: «Le lasciavo due bottiglie d’acqua e una di teuccio, tè deteinato». Stavolta volta però è tornata dopo un’intera settimana: mercoledì 20 luglio, quando Diana era ormai morta. Senza che nessuno - così dicono tutti i vicini interrogati dalla polizia - l’abbia mai sentita piangere. Tanto che gli investigatori hanno avuto il sospetto che la mamma somministrasse a Diana ansiolitici per tenerla calma durante le sue assenze. In casa è stato sequestrato un flacone di un ansiolitico che contiene benzodiazepine. Ma nessuna prescrizione medica, Alessia racconta che era stato lasciato da un «uomo che ha frequentato» per aiutarla a dormire: «Ma non l’ho mai data a Diana».
Morta per disidratazione
L’autopsia ha confermato che nei capelli della piccola ci sono tracce ma in quantità limitate. Tanto che potrebbe trattarsi di una mera contaminazione. In casa, accanto al lettino, erano stati trovati un biberon di latte da 130 millilitri e una bottiglietta d’acqua baby da un quarto di litro. La relazione del medico legale Andrea Gentilomo confermerà la causa di morte in un «quadro di disidratazione». Morta di sete, a Milano. Alessia Pifferi aveva detto al compagno che Diana era con una babysitter. Ai soccorritori l’ha però ammesso subito: non c’era nessuno, l’ho lasciata da sola. Dall’analisi delle celle telefoniche si scoprirà anche che lunedì mattina - quando Diana forse era ancora viva - lei e il compagno erano venuti a Milano perché lui aveva un appuntamento di lavoro. Era passata a meno di due chilometri da casa, senza però chiedere al fidanzato di accompagnarla a controllare la figlia: «Non volevo farlo arrabbiare».
I ricordi del passato
La relazione degli psichiatri del carcere di San Vittore ha raccolto mesi di confidenze: «La tormenta l’idea di essere stata definita “un mostro”. Riferisce momenti di commozione, sonno disturbato da incubi e flashback riguardanti la morte della figlia e la morte del padre. Si descrive come una “bambina invisibile”, in particolare rispetto alla funzione materna. Il pensiero appare semplice, a tratti ingenuo e manipolabile». Racconta del dolore mai superato per la scomparsa del padre nel 2009. Dice di amare i bambini e che avrebbe voluto fare la babysitter. Parla delle difficoltà di essere una ragazza madre. E si appropria di quell’aggettivo - invisibile - ricordando la sua infanzia e il rapporto con i genitori. Indossa la maschera della figlia che ha lasciato morire, invisibile a tutti: alla mamma, alla zia e alla nonna se non per quelle pochissime volte in cui gliela affidava, ai «clienti» di Alessia. Uomini che invitava nel bilocale di via Parea a Ponte Lambro - estrema periferia di Milano - per cento euro, spesso anche per meno. E che avvisava via messaggio prima di farli salire: c’è la bambina «ma non è assolutamente un problema».
In tribunale
Il 19 settembre Alessia Pifferi viene interrogata per la prima volta davanti alla Corte d’Assise. Ha un abito chiaro, la giacca di un tailleur bianco ghiaccio posata sulle spalle. Al collo un vistoso rosario, i capelli ingrigiti raccolti in un grande chignon, un ombretto azzurro troppo denso sulle palpebre. E l’immancabile rossetto rosso. Quello delle foto su Meetic, il sito di incontri dove si mostrava fasciata in abiti «dei cinesi» ma elegantissimi. Davanti a lei ci sono le telecamere e una schiera di giornalisti. C’è anche il pubblico. Lì in mezzo molti la vorrebbero non seduta sul banco degli imputati, ma direttamente «su una sedia elettrica». Mamma Alessia ha una nuova maschera.
La nuova strategia difensiva
L’interrogatorio del pm Francesco De Tommasi parte da uno dei punti fondamentali: la capacità di intendere e volere, la sua percezione che, lasciando sola la piccola, ne avrebbe potuto causare la morte. Morte volontaria, quindi. Non un incidente, ma un omicidio. Dopo l’arresto di un anno e mezzo fa, aveva ammesso che abbandonare una bambina senza acqua né cibo poteva portare alla «disidratazione e anche alla morte». Nel frattempo ha cambiato tre avvocati, ha imparato a destreggiarsi tra carcere e atti giudiziari. E ha cambiato strategia difensiva, puntando sul vizio parziale di mente. «Alessia Pifferi ha un gravissimo ritardo mentale», sostiene il suo legale, l’avvocata Alessia Pontenani. Secondo i consulenti della difesa ha il quoziente intellettivo di «una bimba di 7 anni»: «Hanno messo una bambina in mano a una bambina». Secondo il perito Elvezio Pirfo la 38enne ha sintomi di alessitimia (mancanza di empatia), ma non è una malata psichica.
La maschera
Così la mamma assassina di Ponte Lambro è diventata più fredda, riflessiva. Accanto al microfono ha una bottiglia d’acqua e un pacchetto di fazzoletti. I suoi occhi spesso si piegano sul banco, altre si fanno neri e si piantano immobili sul volto del magistrato che la interroga: «Posso chiederle perché dava da mangiare e da bere alla bambina?». La risposta è raggelante: «Per sopravvivere». Il pm le chiede quali siano le conseguenze per una bambina lasciata senza cibo. Nessuna risposta. La incalza, lei non abbassa lo sguardo: «Le chiedo gentilmente di non sgridarmi». Quella parola - morte - non la pronuncia più.
La sorella Viviana
Con la sorella Viviana i rapporti sono gelidi da anni. Alessia dice di voler riallacciare un legame con lei e la madre Maria. «Ha recitato tutta la vita» attacca Viviana. «Per lei la colpa è sempre degli altri. Spero che si sia davvero pentita. Ripenso a quella bambina lasciata da sola nel lettino per una settimana. Se ne è accorta ora che un biberon non bastava?». Fin dai primi giorni d’indagine le loro testimonianze sono state decisive per ricostruire la catena di bugie di Alessia Pifferi. Tantissime bugie. Come quando ha inventato con le amiche che stava organizzando il battesimo della piccola Diana per ricevere i regali. O ancora quando sosteneva di lasciare la figlia con la babysitter o al mare con la sorella Viviana mentre lei trascorreva i weekend con il compagno a Bergamo. A lui non ha neppure detto d’essere incinta. Diana è stata partorita nel bagno di casa sua: «Ma non è il padre, avevamo riallacciato i rapporti da poco».
Altri sospetti
Gli investigatori della Mobile hanno analizzato immagini e chat del cellulare di Alessia Pifferi. Ci sono messaggi con altri uomini con cui ha avuto incontri a pagamento. Uno di loro le propone rapporti a tre: «Al mio amico gli dico che se paga almeno 100 a volta va bene?». In altri casi è lei a chiedere clienti: «Se vuoi mandami qualcuno che paga bene», «Prova a chiedergli se vuole passare la notte con me, mi dà 300 euro». C’è anche un messaggio molto equivoco - sul quale è aperto un fascicolo per pedopornografia - nel quale un uomo scrive alla donna «voglio baciare anche Diana» e lei risponde: «Lo farai».
Gli spostamenti con gli autisti
Ma è in altre chat che si vede parte della personalità della mamma di Ponte Lambro. Quando, ad esempio, contatta autisti privati per farsi accompagnare a Leffe (non ha la patente). È precisa, al limite dell’ossessione. Scrive di continuo l’indirizzo di casa, invia la posizione gps, si accerta con il massimo scrupolo sugli orari. Quando viene sentita dalla polizia dopo l’arresto sui gesti compiuti il giorno in cui ha abbandonato Diana, quasi si schermisce: «Stavo preparando il trolley, non perché pensavo di stare via tanti giorni, ma perché io sono fatta così: quando vado via anche un solo weekend ho l’abitudine di portarmi dietro il mondo». Il mondo, ma non Diana.